Lorenzo Mauri Team Motocorsa, è condannato ad un destino beffardo. Quello del bambino che costruisce il castello di sabbia e ha solo pochi minuti per ammirarlo prima di tornare a casa dalla spiaggia. Non sa cosa troverà l’indomani. O forse lo sa ma non ci può fare niente. Perché l’indomani è già il giorno di un altro castello da costruire. Più grande, più bello.
Dopo il capolavoro Bassani, solido, migliorato e migliorato ancora con la vittoria come team/pilota indipendente, è il momento di un altro castello.
Con le luci della ribalta puntate su Razgatlioglu in BMW, Rea in Yamaha, Iannone che torna a correre con Go-Eleven, Sam Lowes dalla Moto2 e persino Bulega che debutta nella massima categoria, nessuno si sbatte più di tanto per occuparsi dell’accordo più annunciato di tutti, quello fra Motocorsa e Rinaldi. E mentre Bassani, altro centro di attenzione, festeggia a testa alta il suo passaggio in un team ufficiale, Lorenzo Mauri tiene un basso profilo e anticipa la domanda come uno che non si sottrae al confronto e anzi, lo cerca, per togliersi il pensiero.
Nelle foto che ha appena fatto per Dorna, Michael Ruben Rinaldi, classe 1995, sfoggia un bicipite after market, tipo winter soldier. È il braccio di uno che adesso deve picchiare ancora di più per guadagnarsi l’ingaggio. E Mauri sceglie di andare oltre le morbide parole di circostanza del comunicato. Adesso è libero.
Mauri parte da solo prima della domanda. Praticamente jump start.
“I detrattori diranno che si incontrano un pilota buttato fuori dal suo team con un team mollato dal suo pilota. Insomma una minestra riscaldata. Per certi versi è vero. Me lo dico da solo e più me lo dico, più mi carico. Queste cose mi generano adrenalina.
Ci saremmo tenuti Axel e non faccio la parte di quello che rinnega il suo passato e i suoi risultati. Lo abbiamo portato ad essere il miglior pilota indipendente e lui, dalla sua ci ha dato tutto. Adesso va a godersi una meritata avventura in un team ufficiale e noi ci godiamo la nostra, che si chiama Michael Ruben Rinaldi, ricominciando tutto da capo. Non ho problemi a parlare di Axel. Lui è la dimostrazione che noi costruiamo e saremo sempre fieri del nostro lavoro.
Rinaldi non è una minestra riscaldata né una scelta obbligata, e nemmeno un debole. Lo dico perché a volte ne ho sentito parlare quando era nostro avversario diretto e non capivo come un pilota così coriaceo e veloce, un avversario così fastidioso potesse essere sottovalutato in questi termini. Noi non lo abbiamo mai fatto. Ci ha fatto penare. Ogni volta. Delle volte ho pensato che se avessi avuto il budget mi sarebbe piaciuto vedere cosa sarebbe potuto succedere a tenere nel box due “animali” così diversi.
Rinaldi è stato inizialmente lodato e poi molto criticato.
“E non ha senso. Gli rimproverano di essere stato troppo all’ombra di Bautista, quando lo sono stati tutti negli ultimi due anni. Nel suo caso la situazione era ancora più rognosa, essendo nel suo box.
Forse era più limitato di noi, in certe cose. Noi siamo un team privato ma siamo liberi. Lui probabilmente doveva obbedire a certe logiche e forse dividere il box con Alvaro è stato più una difficoltà che un vantaggio. Alla fine la carriera di Rinaldi è fatta di annate positive e annate meno brillanti ma è facile notare che ha subìto pressioni differenti. Quando Michael subisce pressione positiva, rende alla grande.
Che cos’è la pressione positiva?
“La pressione positiva è quando ti pressano ma credono in te. Quando magari non hai tutti i mezzi ma hai tutta la fiducia e sei l’uomo di punta, al centro del progetto.
La pressione negativa è quando il progetto è ricco, ma tu non sei al centro del progetto e la pressione che ricevi è fatta di ansia, fretta, aspettative. O magari ti trascurano. Ogni tanto qualcuno si ricorda e ti dice: “allora? E tu? Guarda lui che spacca tutto. Tu che fai?” Non è una critica verso altre squadre ma è dimostrato che non ci possono essere due numeri uno e che bisogna sempre dare precedenza alle esigenze di chi sta lì per vincere. Coccolare un pilota dandogli tutti i mezzi non risolve sempre tutti i problemi.
Noi tutti quei mezzi non li abbiamo ma abbiamo un progetto che funziona, un modo di lavorare che ci ha sempre ripagato e la necessità di un uomo di punta. Viene a subire pressione positiva.
Da noi viene a fare il numero uno. Lavoreremo per lui a tempo pieno.”
Si dice che la vostra unione sia la più scontata del mondiale. Nessuno di voi aveva scelta.
“Non è vero. Noi ci siamo cercati e scelti e non è stato semplice. Michael è stato tentato da altre situazioni, specialmente all’inizio. Poi quando ha capito che voleva solo una Ducati, effettivamente è stato più automatico parlare con noi. Noi invece siamo stati tentati da un discreto numero di piloti paganti o con valigia ma abbiamo scelto di non snaturarci. E questo ci ha costretto a sbatterci parecchio per far tornare i conti.
La sua scelta di salire su una Ducati veloce forse è abbastanza logica, ma la nostra non tanto perché avremmo potuto guadagnare di più. Però dai, Motocorsa è una squadra che fa a cazzotti con tutti.
Porteresti uno sfigato in una rissa? Io metto in conto di prenderle, ma voglio soprattutto darle.”
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