Chi vuole sorbirsi un gigantesco “ve lo avevo detto” può andare a leggere questo pezzo del 6 maggio in cui, con le dichiarazioni di partnership Aramco-VR46 ancora fresche, veniva già alla luce qualche dubbio relativo al fatto che, prima di tutto nel comunicato stampa non vi fossero né firme né virgolettati, e poi erano arrivate già le prime smentite da parte della compagnia petrolifera.
Da fine aprile sono passati oltre due mesi e di smentite ce ne sono state altre due. La prima è arrivata a fine giugno e la seconda, ad Assen. Quest’ultima è davvero la più pesante, in quanto proviene dalla bocca dell’amministratore delegato della compagnia petrolifera.
Facciamo brevemente la cronistoria sintetica.
1) Smentita dell’account stampa di Aramco, Adam Jibali, referente dell’agenzia Brunswick Group, che cura le relazioni di Aramco:
“Non c’è nessun accordo strategico tra Aramco e VR46. Non c’è mai stata alcuna relazione commerciale tra Tanal Entertainment e Aramco”. Sarebbe bastato già questo per preoccuparsi.
2) In seguito alcuni siti avrebbero ricevuto richiesta da Aramco Uk in merito alla rimozione della notizia dell’accordo VR46-Aramco dai siti di news con tanto di richiesta di rettifica e con la dichiarazione ufficiale sull’assoluta estraneità di Aramco con la VR46 e con la MotoGP. Poche anche qui le preoccupazioni, se non da parte di una manciata di professionisti, solo stranieri.
3) Per chiudere, il CEO di Aramco, ospite del team Pramac, avrebbe nuovamente e personalmente smentito di essere coinvolto nell’accordo. Quando gli sarebbero state fatte notare le parole del Principe, avrebbe risposto: “Sapete quanti principi abbiamo in Arabia Saudita?” Un’affermazione-spiegazione difficile da ignorare.
Questi tre macigni chiariscono il punto di vista di Aramco e ridimensionano le reiterate rassicurazioni che sarebbero arrivate dal Principe Saudita. Probabilmente, nonostante l’indubbia buona fede, c’è una certa distanza tra la volontà di sponsorizzare direttamente (tramite Aramco) o indirettamente, facendo passare Aramco tramite Tanal Entertainment, e il poterlo realmente fare con leggerezza, finendo in carena con determinati marchi.
Le multinazionali, anche quelle controllate dalle famiglie reali di paesi nei quali non si va troppo per il sottile, in quanto internazionalmente quotate, devono rispondere a dei criteri gestionali che non hanno troppi margini di interpretazione.
Ci sono i board, i consigli di amministrazione, i bilanci, il codice etico, e tutti i criteri di utilità aziendale che devono essere soddisfatti da una società sotto osservazione internazionale.
Nessuno ha dubbi che VR46 troverà uno sponsor munifico per la sua avventura. Semplicemente rischia di non essere questo, a meno che non vengano fatti importanti cambiamenti nei vertici delle società nominate.
Ma la cosa più grave non è quella di uno sponsor che sarà, molto probabilmente, sostituito da un altro, vista l’elevata appetibilità del team VR46, quanto il dilettantismo di tutti coloro che dovrebbero giudicare professionalmente la situazione per poi raccontarla, almeno così dovrebbe essere, con distacco.
Nei comunicati di apertura non si sono visti né virgolettati, né firme. Non si è nemmeno compreso nel dettaglio il collegamento fra le entità in gioco, Tanal Entertainment e Aramco, laddove la prima appare più un mediatore di interessi e attività e la seconda una multinazionale che gioca una partita di alto livello ed è sottoposta a regole precise. Si sono poi viste delle dichiarazioni sì nominali, ma mai congiunte, sullo stesso foglio degli impegni specifici di sponsorizzazione, per intenderci. Per non parlare delle smentite pesanti del petroliere, che sembra essere tutto tranne che controllato dai Principi.
Tanal e Aramco sono sì “di proprietà” dalla famiglia reale Saudita ma, il concetto di controllo finanziario e di famiglia reale saudita sono molto ampi a livello di significato.
Una multinazionale petrolifera non è un negozio di bottoni e ci sono consigli di amministrazione, board, azionisti da tenere in considerazione. L’amministratore delegato non è un cameriere ma una persona nominata per tutelare, a costo della sua stessa sopravvivenza, i privilegi dell’azienda la cui amministrazione gli è stata affidata. Una famiglia reale, in Arabia Saudita, è qualcosa di complicato, dal punto di vista del numero degli esponenti e degli equilibri fra i medesimi. Una rivalità, anche piccola, può avere un peso inimmaginabile.
Di tutte queste cose non visibili, oltre che di quelle visibili, dovrebbe tener conto un professionista dell’informazione.
Con l’eccezione di qualche sito straniero e di un paio solo dei nostri, invece, è stato come camminare a piedi nudi nel deserto del sahara del dilettantismo, fra le maestose dune dell’accondiscendenza.
Tutti i siti e le testate si sono comportate peggio di un ufficio stampa, dato che persino un responsabile comunicazione lavora su un minimo di virgolettato dei suoi capi, per mantenere il posto di lavoro.
La gara invece è stata solo quella di entrare nei dettagli economici mai scritti (20 milioni da dove spuntano?), nel fascino dell’operazione, e nelle pieghe bagnate del sogno populista di un Valentino pilota per un altro anno (e anche qui non si capisce il masochismo).
Ci si è soffermati sulle specifiche tecniche di moto che non si sa da chi verranno pagate e sui dettagli di piloti di un team che, per ora, c’è solo nelle intenzioni.
Diventa clamoroso, a questo punto, anche l’accordo con Ducati, se lo sponsor non ci sarà, e la certezza di tutti i protagonisti che, in barba alla mancanza di una qualsiasi sicurezza firmata, sono così tranquilli su tutto.
Questo perché significherebbe che un organizzatore come Dorna e un’azienda come Ducati, basano le loro scelte aziendali e commerciali su presupposti e desiderata che possono anche tranquillamente non esistere. Se anche lo sponsor ci sarà ma sarà diverso, sarà comunque gravissimo. Perché non è su quello che è stato un accordo pluriennale multimilionario. Quindi, in pratica, vorrebbe dire che “si è andati un po’ a culo”.
E alla fine, bisogna anche ringraziarla, Aramco, la quale, in seguito a tutti i render variopinti di moto, tute, caschi, etc, si è limitata a smentire e a chiedere rimozione di articoli, ma ancora non si è irritata per l’uso, a questo punto arbitrario di nome, marchio e coinvolgimento di un’azienda pur sempre quotata in borsa.
A qualcun altro sarebbe costato caro, dal punto di vista legale e mediatico. La zimbellitudine da paddock avrebbe raggiunto livelli stellari.
Insomma, quando anche sia tutto vero, qualcuno alla fine dovrà spiegare come mai c’è tanta resistenza da parte di un’azienda che dovrebbe fare quello che vuole il padrone ma, di fatto, sta cercando (riuscendoci) di non farlo, e tanta accondiscendenza da chi su queste cose ci dovrebbe ragionare.
Alla fine, in sintesi:
1) L’accordo è stato annunciato male e preso per oro colato nonostante mancassero i presupposti di base.
2) Le società Tanal e Aramco risponderanno anche alla stessa proprietà ma sembra siano invece in conflitto.
3) Alla stampa si può raccontare quello che si vuole che tanto sceglie sempre la soluzione che le consente di mettere in scena più storie e raccimolare più click, indipendentemente dagli indizi che le arrivano o dal buonsenso che servirebbe nell’analisi. Anche a costo di prostrarsi in modo da farla diventare una nuova categoria di Youporn.
Ma questo, perché?
Per gli stessi ingredienti che servono perché una truffa abbia successo (anche se qui non è di truffa che si parla):
Sparare in alto, pensare in grande e tirare dentro nomi troppo grossi perché ne venga messa in dubbio la veridicità.
E in questo caso siamo tutti davanti ad un sogno. Un principe vero, un principe dello sport, tanti soldi provenienti da chi nell’immaginario collettivo può disporne come vuole, e un brand, quello di Ducati, che è sicuramente il più appetibile per un romanticismo di successo.
Poi c’è un altro particolare: tutte le politiche di investimento di società saudite legate al governo di riferimento (lo sono quasi tutte), sono sotto osservazione per via della storica e reiterata violazione dei diritti umani sui quali il paese arabo si è dimostrato abbastanza disinvolto. Lo sport washing, ossia l’attività che prevede sponsorizzazioni massicce ad alto impatto per ingraziarsi i tessuti sociali e opinione pubblica di destinazione (edilizia residenziale, parchi divertimento, impianti sportivi) è da tempo sotto osservazione da parte di tutti i paesi Europei e non solo, oltre che di tanta stampa internazionale (a parte la nostra).
Sia chiaro: il team si farà, nessuno dubita, anche a costo di trovare un altro contributor o di far pagare tutto a Dorna. Ma la figuraccia rischia comunque di essere di quelle alcooliche.
Il reato è quello di informazione in stato di ebbrezza e ubriachezza molesta da click.
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